L'equivoco della territorialità

Come primo contributo per questo spazio di discussione mi preme indicare uno dei termini più equivoci che sono già stati spesi nei dibattiti precedenti il varo della Convenzione, relativamente al carattere "etnico" o "territoriale" della nostra (futura) autonomia. Più volte Arno Kompatscher si è espresso negativamente riguardo al termine "territoriale", a mio avviso non capendo bene di cosa si tratta, cioè a che cosa questo termine si riferisca o si possa riferire. "Territoriale" dovrebbe a mio avviso essere pensato solo ed esclusivamente in contrasto con il termine "etnico", indicando un superamento del quadro giuridico attuale non nel senso di un affievolimento della specificità autonomistica (riduzione delle competenze o maggiore ingerenza dello stato centrale). Al contrario, declinare l'autonomia in chiave "territoriale" significa che l'autogoverno può di fatto espandersi e radicarsi solo se le barriere interne tra i gruppi linguistici retrocedono in secondo piano e non risultano più l'alfa e l'omega di ogni legittimazione del nostro status. In breve: solo se la Convenzione metterà capo a un nuovo "patto" tra i gruppi linguistici sarà possibile rafforzare l'autonomia anche nei confronti dei territori esterni. In caso contrario ogni cosa non potrà che rimanere com'è e tutto il lavoro sarà di fatto inutile.
 

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Commenti

Die Territorialisierung der Autonomie wäre ein schöner Traum, der sich nach meiner Meinung aber in einem so zentralistischen Land wie Italien nicht realisieren lässt, ohne massive Risiken einzugehen. Unsere heutige Autonomie ist damit begründet, dass wir uns "national" vom restlichen Staatsgebiet aufgrund der Anwesenheit einer deutschen und einer ladinischen Minderheit unterscheiden. Das bildet auch die "internationale Absicherung". Wenn wir freiwillig auf diese "Legitimierung unseres Status" verzichten, kann Rom die Autonomie jederzeit aberkennen oder Südtirol in eine Makroregion des Nordostens integrieren.
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La territorializzazione dell'autonomia dovrebbe per l'appunto "coincidere" con la disattivazione dell'ingerenza statale, costituirebbe insomma una radicalizzazione e non una edulcorazione della funzione di autogoverno. Solo: si tratterebbe di un autogoverno posto su altre basi. Se invece permane la paura dell'ingerenza statale e continuiamo a parlare di un'autonomia creata esclusivamente per conservare lo status di minoranze ai "tedeschi" e ai "ladini" non esistono poi troppi spunti di cambiamento utili a giustificare questa Convezione. Basterebbe un intervento cosmetico realizzato da dei tecnici e amen.
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Ritratto di antonio lampis
solo se le barriere retrocedeno ! E' una bella immagine e ha piena dignità nella corretta interpretazione dello statuto.. un processo in divenire. Ne scrivevo qui 14 anni fa, per il trentennale dell'autonomia a Alto Adige 16 gennaio 2002, prima e pag. 45 LE MISURE GIUSTE DELL'AUTONOMIA di Antonio Lampis Tra pochi giorni il secondo statuto di questa regione compie trent'anni. Ci si può chiedere se siamo ancora speciali e ci si può rispondere di sì, con qualche differenza se la domanda è posta da Bolzano o da Trento. Vediamo perché. La modifica al primo statuto raggiunta attraverso la legge costituzionale del 1971, entrò in vigore il 20 gennaio del 1972. Essa segna l'avvio della prima esperienza di regionalismo compiuto in Italia. Le due Province vengono in tutto, tranne che nel nome, parificate alle Regioni e sono dotate di poteri rilevanti, di vero governo del territorio. Tali poteri sono qui accompagnati, diversamente che in altre Regioni speciali, dalla tenace volontà di esercitarli. Difatti mentre altre Regioni speciali invitavano più o meno apertamente i governi ad andarci piano, Trento e soprattutto Bolzano insistevano per l'emanazione delle norme attuative. Essere Regione o Provincia autonoma, nel sistema costituzionale italiano significa saper individuare le esigenze caratteristiche del territorio e governare di conseguenza, con leggi ed altre norme originali e su misura, ma soprattutto significa potersi dare un indirizzo politico proprio, anche differente da quello dello Stato centrale. La prima circostanza si è resa più raggiungibile grazie anche alle dimensioni ridotte, infatti le due isole, con le loro competenze primarie, e quasi tutte le Regioni ordinarie, con le loro competenze dimezzate, hanno reso poco in termini di efficienza e originalità, anche a causa delle loro dimensioni e del difficile rapporto con le province, oltre che per altre ragioni che non è qui il caso di illustrare. In genere hanno recepito norme statali, scopiazzato tra loro alcune soluzioni, poco ingegno, poca sostanza. Oggi alcune piccole regioni, ad esempio la Basilicata, hanno ritrovato la vena creativa, anche prima del federalismo, per ora solo annunciato. L'autonomia nell'indirizzo politico qui è cosa di questi giorni: in passato si è praticata poco, a parte alcune tenui sfumature. Bolzano, resa forte dalle esigenze di rendere concreta la tutela della minoranza tedesca ha utilizzato le nuove competenze e la liberazione dalla Regione in ogni possibile estensione. La legislazione provinciale ha sperimentato vie originali per la salvaguardia dell'ambiente alpino, per la pianificazione urbanistica ed edilizia, per la tutela sociale. Il nuovo statuto, che è un pezzo della Costituzione italiana, colloca la tutela delle minoranze tra gli interessi nazionali. La normativa di attuazione, giunta a compimento con il riconoscimento pieno dei diritti linguistici nei confronti delle amministrazioni e dei tribunali, ha creato un quadro normativo tale da indurre uno dei massimi studiosi delle Regioni a ragionare di una concezione "civica" che quindi supera la concezione tradizionale di nazione fondata sul legame etnico-linguistico. Ricordate Manzoni? Nel suo Marzo 1821, ma anche in molti testi giuridici non antichissimi, la nazione era "una d'arme, di lingua d'altare, di memoria di sangue e di cor", quella italiana è dal 1972 una nazione che ha più lingue. Si è reso man mano più evidente quanto già scritto nella Costituzione, cioè che il compito di tutelare le minoranze linguistiche è della repubblica, un concetto che comprende il primo ministro e l'ultimo vigile urbano, il magistrato, il funzionario, il sindaco o il presidente provinciale. Il contenuto ed il significato essenziale dell'autonomia speciale altoatesina ha poi via via superato la stretta identificazione con i compiti di tutela, realizzando il passaggio dalla fase di mera tutela dei gruppi linguistici a quella della gestione della loro convivenza, regolandola con il diritto, attraverso cioè un accumulo concordato di norme giuridiche per la disciplina dei rapporti tra i gruppi e tra lo stato centrale e le autonomie territoriali. Altre realtà multiculturali si sono fermate a intese o labili accordi, con esiti spesso infausti. La specialità della provincia di Bolzano, grazie al secondo statuto, è divenuta così sempre più solida: essa sta nella complessità dei delicati equilibri linguistici e culturali e nel riflesso internazionale che ormai il modello altoatesino ha guadagnato, nei risultati sperimentati e raggiunti, certo migliorabili, ma anche indubbiamente al di sopra della media. Anche per questo il benessere di tutti i gruppi non è più patrimonio dei distinti partiti etnici, ma spetta ormai a tutta la classe politica, specie quella che governa, porsi il problema delle esigenze di tutti. Per Trento, come ha detto Armando Vadagnini, questo secondo statuto è stato piuttosto scomodo, perché ha portato a dover "giustificare" la propria situazione di Provincia speciale, quasi fosse un privilegio. Tuttavia i decenni di gestione autonoma del territorio, l'esperienza maturata, la recente riscoperta delle proprie minoranze, l'investimento strategico nella ricerca, la sperimentazione di un processo di sintesi tra le istanze di apertura internazionale e la volontà di mantenere la tradizionale coesione sociale, hanno reso più solida una specialità fino a pochi anni fa fragilissima. La distanza dal degrado socio-ambientale di alcuni territori vicini hanno recentemente rafforzato una differenza altrimenti troppo sottile. Oggi molte regioni hanno ancora poca consapevolezza dell'autonomia e poca abitudine a far da soli, tutti vogliono il federalismo, ma pochi sono pronti a non attendere più le circolari dei ministeri. Rispetto a tali realtà, che soffrono anche dell'antistorica composizione del nostro parlamento, le Province di Trento e Bolzano fanno un figurone. D'altra parte la nuova disciplina costituzionale dei rapporti tra stato e regioni ha reso la specialità meno eccezionale, andando saggiamente verso un federalismo differenziato, su misura delle singole capacità e volontà di autogoverno. Appena riconosciuta e giustificata la specialità non resta che rileggerla criticamente, in un ottica di sviluppo che è imposto dalla rapidità con cui i tempi e i rapporti economici e giuridico-istituzionali sono cambiati, impensabile anche solo pochi anni orsono. Per ricordare i trent'anni del secondo statuto niente è meglio che riflettere sulle prospettive future, che sembrano buone se si coglie il valore aggiunto che ormai ogni differenza porta con sè. Governare la differenza è compito arduo, ma affascinante. Definisce mirabilmente questa prospettiva Sergio Ortino, in apertura al monumentale manuale sull'autonomia altoatesina appena pubblicato da Cedam, chiarendo che coloro che hanno creato vigorose autonomie territoriali passano dal ruolo di "malcapitati della storia" a "protagonisti del nuovo corso", dove gli stati nazionali perdono le loro configurazioni originarie e diventa sempre più importante saper preservare le specialità e garantire la partecipazione delle collettività al "circuito delle conoscenze globali". Poiché si tratta di uno sforzo quasi titanico, lo si può fare solo con autonomie speciali riferite a territori non troppo estesi, ma neppure troppo frammentati. Forse abbiamo avuto trent'anni per sperimentare la giusta dimensione.
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Insegnante, traduttore, editorialista